Comunicare, prima e dopo il coronavirus: “Niente sarà come prima”. Così Massimo Tafi, presidente Assorel
I media anglosassoni già utilizzano B.C. e A.C. per identificare le epoche: before Coronavirus/after Coronavirus. Parlando di comunicazione, ospitiamo l’intervento di Massimo Tafi, presidente Assorel, associazione di imprese di comunicazione e relazioni pubbliche.
Massimo Tafi (presidente Assorel)
Niente sarà come prima. È questa la frase che ripetiamo sempre più frequentemente riferendoci a quando – ma quando? – sarà finito il flagello denominato Covid-19. Niente sarà come prima. Ma ancor prima di preoccuparci di come sarà dopo, bisognerebbe capire cosa sta succedendo ora. Naturalmente proverò a farlo solo dal punto di vista della comunicazione, unico campo nel quale posso avventurarmi.
Riscoprire la carta – La prima constatazione è che la pandemia ha fatto riscoprire agli italiani il quotidiano, anche nella sua vetusta – secondo i più – versione cartacea. È il segno chiaro che le persone quando hanno bisogno di capire e di approfondire non si accontentano dell’informazione omogeneizzata e predigerita che la fa da padrone sul digitale. Sarebbe bello che di questo ce ne ricordassimo tutti quando la tempesta sarà passata. E dico tutti, nel senso proprio di tutti: i lettori ma anche e soprattutto gli editori e le imprese. Gli editori perché investire seriamente nel loro prodotto cartaceo potrebbe essere un bel segnale e le imprese perché riconsiderare nel mix comunicativo anche quel media comprendendo che l’autorevolezza e la capacità d’inchiesta e di approfondimento non le si possono pretendere solo a giorni alterni: cioè quando è funzionale ai propri interessi diretti e dimenticarsela il giorno appresso. Vanno sostenute sempre.
L’inatteso e la comunicazione – La seconda constatazione è che tutti ci siamo trovati impreparati a questa catastrofe: anche i piani migliori di contingency delle aziende più strutturate hanno vacillato davanti a ciò che si considerava fuori da ogni immaginazione. La conseguenza – sempre rimanendo nel campo della comunicazione – è stata l’interruzione dei canali di comunicazione con i propri stakeholder. E il canale di comunicazione che più ha mostrato la propria fragilità è stato – almeno in Italia – quello tra impresa e dipendenti/collaboratori. La comunicazione interna, infatti, dalle nostre imprese, in particolare dalle cosiddette PMI, è sempre stato (tranne casi particolarmente virtuosi) un terreno sconosciuto o mal frequentato. La comunicazione interna che passa attraverso ordini di servizio o il cedolino stipendio è fondamentale, ma non basta. Nell’era dell’engagement dipendenti e collaboratori non possono essere trascurati, anzi devono essere i primi interlocutori e non solo perché debbono diventare (come si è sempre detto) i primi ambassador dell’azienda, ma perché, prima di ogni cosa, ne hanno diritto. Tanto più in una fase come l’attuale quando l’incertezza è tanta, per tutti, ma c’è un’unica certezza: nessuna impresa riuscirà a venire a capo della crisi se azionisti, manager, dipendenti non si vivranno come un unico corpo solidale.
Quotidiano, digitale – La terza constatazione è persino più scontata e banale delle prime due: la tecnologia. Volenti o nolenti, costretti a casa, il digitale ha occupato la nostra quotidianità ancora più di prima. E se da un lato ha mostrato la sua meravigliosa potenza, ha contemporaneamente messo in mostra le sue e le nostre fragilità: abbiamo più bisogno di più banda e più stabilità dei sistemi perché le nostre riunioni non si trasformino in un continuo e snervante “non ti vedo, non ti sento”; lo smart working non è affatto smart se tutti sono obbligati a fruirlo contemporaneamente. Anzi, smettiamo di chiamarlo smart working perché come diceva Nanni Moretti le parole sono importanti. E questo che stiamo vivendo non è vero che riequilibra tempo di vita e tempo di lavoro: semplicemente e drammaticamente dilata il tempo di lavoro facendolo coincidere con il tempo della vita. Cosa sopportabile per un mese, forse, ma non di più. Quindi bisogna ripensare queste strutture e queste modalità di lavoro in termini di diritti: le imprese per prime hanno bisogno che le persone che ne fanno parte abbiano diritti. L’esperienza di questi giorni di lavoro deve lasciare qualche traccia positiva. Forse le cose che dico non hanno molto a che fare con la comunicazione, ma hanno molto a che fare con le relazioni. E di questo chi fa il mio mestiere si occupa.
Associazionismo, il ritorno – Quarta e ultima constatazione: la ri-scoperta dell’associazionismo. Dati per morti o quanto meno per agonizzanti i cosiddetti corpi intermedi sono invece tornati prepotentemente alla ribalta. Per una volta Covid-19 da spietato killer si è trasformato in rianimatore. Sì l’Italia ha scoperto che lo stare insieme può essere un valore o, per lo meno, utile. Assorel non fa eccezione: le imprese della Comunicazione hanno ritrovato la voglia e l’interesse per stare insieme, ragionare insieme, confrontarsi. Fare blocco e lavorare con e verso il Governo sia per portare alla luce i problemi del settore, sia offrendo al Paese un contributo positivo per raccontare al mondo che quel che ci stava accadendo era una tragedia che però non minava le molte capacità e ricchezze del nostro popolo: Assorel lo ha fatto in stretta vicinanza e collaborazione con le altre strutture Associative imprenditoriali della comunicazione, una prima fra tutte, e ancor più all’interno di Confindustria Intellect, la federazione che riunisce il mondo della consulenza e dei servizi alle imprese. Ne è nata una grande esperienza personale, ma sono nati soprattutto importanti vantaggi per tutte le imprese – associate o no – quali ad esempio il riconoscimento del lavoro agile (o smart working) e l’allargamento per la prima volta al mondo della comunicazione degli ammortizzatori sociali quali ad esempio la cassa integrazione in deroga. Sono stati giorni di grande impegno e di grande lavoro, le imprese associate sono state costantemente informate con appositi bollettini in tempo reale su quello che stava accadendo a livello governativo, quali le prospettive e le previsioni. Gli associati (ma anche gli altri imprenditori) hanno cercato nelle diverse associazioni di categoria un punto di riferimento insostituibile, anche solo per avere informazioni di prima mano sugli orientamenti del legislatore, avere interpretazioni dei provvedimenti spesso ambigui, ottenere chiarimenti. Ancor più, sono nati momenti di condivisione e dibattito che stanno aiutando gli imprenditori e i professionisti del settore a individuare linee comuni di comportamento e cercare di capire insieme come si profila il futuro a breve e a medio termine.